sabato 9 settembre 2023

Koden la tecnologia giapponese

Scheda originariamente pubblicata dal sito Nipponico.com.


Koden

Con il termine koden si indica una serie di interfacce elettroniche. Traducibile all’incirca come “individuo elettrificato”, la parola giapponese è composta da ko (individuale) e denshi (elettronico). Dunque, una integrazione dell’elettronica con l’organismo umano, così come immaginato da Nicholas Negroponte (1). Sarebbe un koden, ad esempio, il walkman della Sony che permette di camminare ascoltando musica. Oppure la playstation che proietta l’individuo in un mondo virtuale interagendo con la realtà simulata.

Molti hanno interpretato negativamente il fenomeno koden. Renata Pisu ha usato toni apocalittici parlando di “scenari di mutazioni globali”. Non è però la prima volta che la tecnologia giapponese viene descritta con la prospettiva dell’ideologia.

Nicholas Negroponte, fra i massimi esperti di informatica e tecnologia digitale, ha colto invece le possibilità positive di queste trasformazioni.


“Media da indossare. Velluti che fanno calcoli, mussole dotate di memoria, sete a energia solare: con questi tessuti potrebbero essere fatti gli abiti digitali di domani. Invece di tenere il computer in mano, indossalo. Anche se non ce ne rendiamo conto, già ora ci portiamo addosso un numero sempre maggiore di dispositivi per elaborare e comunicare. L’orologio da polso è il più comune. Da strumento per misurare il tempo qual è oggi, si trasformerà domani in un centro mobile di comando e controllo. Lo si porta con tale naturalezza, che molta gente se lo tiene anche quando dorme”. (2)


Completamente diversa l’opinione di Renata Pisu che vede la tecnologia come una minaccia.


“Ma anche senza arrivare a questi estremi, come mai l’elettronica di consumo riscuote tanto successo in Giappone più che in ogni altro paese del mondo? C’è forse qualcosa di connaturato nella cultura giapponese, una naturale predisposizione a mettere sullo stesso piano organico e inorganico? […] Ma si tratta di affettività umana o “umanoide”? Il quesito può apparire assurdo, eppure l’orrendo termine giapponoide sta già entrando nell’uso per indicare i giapponesi, uomini la cui umanità avrebbe subito una mutazione. Si presentano, infatti, come pre-moderni e post-moderni, si direbbe quasi che la modernità fosse stata vissuta da loro come un tempo fuori dal tempo, durante il quale alacremente, si sono appropriati della tecnologia venuta da lontano per poi introiettarla. E questa introiezione avrebbe provocato in loro la mutazione: da giapponese a giapponoide, cioè un umano che vive in un paese dove è stata realizzata una sorta di tecno-utopia, un umano che è un koden, un individuo il cui corpo è elettronificato e che non potrebbe vivere senza le sue protesi tecnologiche, sempre più “incorporate”, cioè pensate in modo da fondersi con la persona, oppure studiate in modo da condizionare i ritmi e i piaceri”.


Ma le affermazioni di Renata Pisu non si fermano qui. Il koden è addirittura paragonato alla droga: il computer e la playstation come l’eroina.


“Il fenomeno limite dell’hikikomori è possibile soltanto in una società che ha attuato questa elettronificazione di massa e che permette, quindi, ai giovanissimi un rifiuto della realtà grazie al sostituto virtuale ottenibile con le varie “protesi”, da Internet al videogioco, alle quali tutti hanno accesso. In società meno tecnologicamente avanzate, il rifiuto si esprime in altri modi, con la droga prima di tutto e poi con la violenza o con altri vari tipi di comportamenti asociali”. (3)


Renata Pisu dimostra, senza accorgersene, che non sono necessarie droghe chimiche o virtuali per delirare. Semplicemente è sufficiente aderire a un’ideologia che vede nel diverso, in questo caso il Giappone e i giovani, l’apice di tutti i mali.


Il nipponista Cristiano Martorella ha dato battaglia contro queste interpretazioni ideologiche della tecnologia giapponese. Al XXV convegno di studi sul Giappone (Venezia, 4-6 ottobre 2001) presentò una relazione sul concetto giapponese di economia in cui criticava aspramente tutte le forme di pregiudizi che inficerebbero la ricerca scientifica. Inoltre aveva già evidenziato le motivazioni culturali che determinerebbero gli aspetti dell’industrializzazione giapponese (4). Ad esempio, la mancanza di una distinzione fra cosa (mono) e persona (mono) nell’ottica dell’animismo shintoista. Una prospettiva che non mortifica l’individuo, ma sacralizza le cose valorizzandole oltre il mero significato di merce. Se si impara a rispettare le cose, sarà più facile applicare il rispetto anche per le persone.


A favore dell’interpretazione propositiva della tecnologia giapponese ci sono le ricerche di numerosi studiosi che sono state sistematicamente occultate per costruire una rappresentazione stereotipata e negativa del Giappone contemporaneo. Il volume Electric geisha (5) presenta un quadro totalmente diverso da quello descritto da Renata Pisu. Gli autori, estremamente qualificati (sono quasi tutti professori universitari), innanzitutto smentiscono l’idea di un Giappone che acquisisce copiandole le tecnologie occidentali. I giapponesi sono fra i maggiori inventori di brevetti, ed è ormai privo di senso pensare alla tecnologia come qualcosa di occidentale. La tecnologia non è concepibile come un’esclusiva culturale. 

Electric geisha è un libro corale in cui gli autori approfondiscono i diversi aspetti che collegano la tecnologia e la cultura giapponese. Hashizume Shin’ya descrive le caratteristiche del piacere del bagno, Hayama Tsutomo racconta la passione del pachinko, Moriya Takeshi spiega il successo dei corsi di arti tradizionali, Katou Akinori si occupa del fenomeno delle vacanze all’estero, Narumi Kunihiro ci parla del karaoke, Yoshii Takao delle origini dei mezzi di comunicazione di massa nel periodo Edo (1600-1867) e Meiji (1868-1912), e così via.  Insomma, argomenti concreti dove la tecnologia svolge il suo ruolo autentico: un mezzo finalizzato alla realizzazione di uno scopo.

L’interpretazione del koden da parte di autori come Renata Pisu e Alessandro Gomarasca, risulta quindi parziale e viziata da pregiudizi ideologici che leggono ogni fenomeno tecnologico come diabolico. Ma la tecnologia, incluso il koden, non è né un bene né un male, è soltanto un mezzo il cui uso (buono o cattivo) dipende dall’uomo.




Note


1. Negroponte, Nicholas. 1995. Essere digitale. Sperling & Kupfer, Milano. Negroponte, uno dei maggiori esperti mondiali di comunicazione digitale, professore al Massachusetts Institute of Technology (MIT) e direttore del Media Lab.

2. Cfr. Negroponte, Nicholas. 1995. Essere digitale. Sperling & Kupfer, Milano, p.219.

3. Pisu, Renata. Samurai robot, in “L’Espresso”, n.29 anno XLVIII, 18 luglio 2002, p.116.

4. Martorella, Cristiano. Il concetto giapponese di economia dal punto di vista epistemologico. Tesi discussa alla Facoltà di Lettere e Filosofia, Genova. A.A. 1999-2000.

5. Ueda, Atsushi (a cura di). 1996. Electric geisha. Feltrinelli, Milano.



Bibliografia


Gomarasca, Alessandro (a cura di). 2001. La bambola e il robottone. Einaudi, Torino.

Negroponte, Nicholas. 1995. Essere digitale. Sperling & Kupfer, Milano.

Pisu, Renata. 2001. Alle radici del sole. Sperling & Kupfer, Milano.

Ueda, Atsushi (a cura di). 1996. Electric geisha. Feltrinelli, Milano.

Hall, Rupert e Boas Hall, Marie. 1991. Storia della scienza. Il Mulino, Bologna.